“La giustificazione dell’affermazione di Napoleone (sempre che sia autentica) che coloro i quali si formano un’immagine di tutto non sono adatti al comando, si può trovare nel primo di questi difetti. Un comandante che affronti una battaglia avendo davanti a sé l’immagine di come un dato combattimento si era svolto in una data occasione, due minuti dopo l’inizio dello scontro scoprirà che qualcosa è andato storto. L’immagine che si era fatta sarà distrutta, ed egli non avrà nulla in serbo se non un’altra immagine particolare, e neppure questa gli servirà a lungo. Oppure può accadere che, quando l’immagine che si era fatta degli eventi futuri si rivela inutilizzabile, egli si trovi ad avere in mente una così vasta ed immediata compresenza di immagini da non saper, neanche in questo caso, quali aggiustamenti pratici fare. Un’eccessiva specificità dei riferimenti passati può essere un impaccio non meno grave che una loro assoluta mancanza di specificità. Per soddisfare adeguatamente le esigenze di un ambiente in continuo mutamento, non solo dobbiamo estrarre certi elementi dal loro contesto generale, ma dobbiamo anche sapere quali loro parti possono scorrere e alterarsi senza disturbare il loro significato e le loro funzioni generali. F.C Bartlett”.1

L’Artefatto e l’Azienda

Sperimentare contiene in sé l’idea che la ricerca sia finalizzata a trovare una certa quantità di valore da poter aggiungere al sapere corrente, anche se è difficile pensare che il sapere possa essere il vero fattore migliorativo delle capacità di innovazione.

La ricerca condotta per produrre NEAR è interpretabile come una bozza di metodo che ha come fine l’elaborazione dei differenti indirizzi produttivi e culturali di un’azienda, rappresentandoli in artefatti che indaghino, attraverso il pensiero artistico, nuovi orizzonti di redditività.

Tali artefatti, quasi fossero oggetti transizionali, hanno il compito di estendere i confini degli spazi d’azione dell’impresa. Tali spazi, fino a pochi anni fa aree di comfort, vengono sempre più cannibalizzati dall’applicazione di nuove tecnologie e dal conseguente avvento di competitor inattesi e sempre più voraci. Questo processo, mentre discutiamo sul da farsi, sta trasformando ciascuno di questi spazi in recinti, i cui cancelli si chiudono dall’esterno.

Per Nicholas Taleb […] Noi siamo in grado di capire ciò che è fragile mentre non siamo in grado di inventare cose nuove con la certezza che esse non siano fragili, poiché, per natura, siamo incapaci di concepire la probabilità […] Quindi, sempre per Taleb […] Occorre togliere dal futuro le cose che non appartengono al tempo a venire. Poiché ciò che è fragile alla fine si romperà. Quindi leviamo ciò che è fragile ora.2[…]

Come individuare ciò che è fragile, in un’azienda, e toglierlo dal futuro, sottraendolo dai consueti processi?

La madre di tutte le fragilità si annida nel linguaggio, lo stesso linguaggio con cui cerchiamo di individuare e comprendere le parti fragili. A ciò, si somma la difficoltà di riuscire ad ascoltare il rumore di fondo, ascolto indispensabile per comprendere gli insiemi di dati irrelati che si presentano sul nostro percorso. La carenza di tale ascolto, esclude dalla possibilità di anticipare ogni nuova interessante emergenza. Un metodo artistico crea sempre nuove metafore e, impedendo il fissarsi di definizioni, permette di scomporre la realtà in un mosaico composto da molti tasselli, osservabili nella singole valenze, rendendo più agile l’individuazione delle fragilità.

L’arte (…e un po’ di Bento)

L’utilizzo di una lente artistica promuove anche l’interruzione della reiterazione coattiva di quei processi che, all’interno e all’esterno di un’azienda, vengono messi in atto con l’unico scopo di resistere alle mutazioni che ineluttabilmente spingono verso il futuro. Qualsiasi essere umano, opponendosi a tali mutazioni, congelerà la propria comprensione del mondo ad un dato tempo della propria vita; a partire da tale momento avrà a disposizione solo immagini di esperienze passate che risulteranno inutilizzabili per comprendere la propria contemporaneità.

Attraverso i mezzi dell’arte, si possono cambiare modi di vedere e di prestare attenzione, consentendo di udire chiaramente quanto, fino ad allora, era parso un rumore di fondo. Tale ascolto porta l’azienda a modificare le matrici collettive di ricezione dell’informazione e, di conseguenza, della comunicazione, generando nuovi spazi interni e più floride strutture di senso. In pratica ogni prodotto o sistema, che l’azienda venda o usi al suo interno, ricalca la struttura comunicativa di chi lo ha creato; modificare le matrici collettive permette di rigenerare le strutture di comunicazione e di conseguenza rinnovare metodi e processi produttivi3

La visione del manager moderno sembra allora avere molti punti di contatto con la visione di un artista: ad entrambi è necessaria la capacità di accedere a scenari non direttamente osservabili per consentire l’insorgere della pensabilità di nuovi prodotti, metodi o processi.

Difatti Giorgio Gargani sostiene: L’uomo dell’organizzazione, il manager non è colui che fornisce rappresentazioni accurate (accurate representations) della realtà che lo circonda, piuttosto è colui che va al di là di ciò che è direttamente osservabile e che risulta capace di indicare una possibilità o uno scenario di possibilità alternative sullo sfondo complesso è indeterminato di una molteplicità di dati fra loro irrelati.4

Cinema/Musica/Suono/Immagine

La riflessione sulle relazioni Cinema/Musica e Suono/Immagine, doverosa nell’ambito aziendale in cui ho sviluppato NEAR, le Edizioni Musicali Bixio, conduce alla bella affermazione di Marshall McLuhan: Il campo uditivo è simultaneo, il campo visivo è sequenziale. 5
Tale definizione ha, tra le sue implicazioni, la seguente:
l’essere umano che percepisca l’esistenza di una data sorgente sonora, ascoltandola, attraverserà tre diversi livelli: quello iniziale di allarme, comune anche agli animali, quello intermedio di decifrazione, proprio dell’uomo che cerca di decifrare in base a certi codici i segnali acustici, quello finale che prende in considerazione l’emittente del suono.6
In sostanza, l’atto di udire precede l’atto del vedere.

Da ciò, e dalle molte bozze di progetto relative ad artefatti sonori e visivi pensati per i luoghi sociali (che chiamerò qui Dissuasori Artistici), è nata l’opera NEAR.

NEAR

NEAR è un’installazione sonora in PETG, creata con il procedimento della stampa 3D, le cui parti elettroniche sono state costruite con componenti ARDUINO, la piattaforma hardware inventata da Massimo Banzi all’interno dell’Interaction Design Institute di Ivrea. NEAR è un’installazione relazionale: rileva la presenza di un visitatore attraverso sensori; questi inviano un segnale ad un player audio che genera un flusso sonoro che, nello specifico, trasmette stralci di voci e musiche tratte da pellicole di film le cui musiche sono state prodotte dall’etichetta Cinevox ed edite dalle Edizioni Musicali Bixio, godendo quest’ultima di un’antica relazione con l’industria cinematografica.

Le intenzioni che sin dall’inizio sono state alla base del progetto NEAR, intenzioni che credo valgano anche per Franco Bixio che, complice una vocazione futurista, ne ha voluto ricerca e produzione, sono principalmente due: la prima è quella di immergere l’azienda in un ambito differente dall’usuale e quotidiano, inserendola in una realtà che possegga, almeno in parte, codici simbolici differenti. La seconda, è quella di indagare le possibilità di produrre nuovi modelli di prodotto per aprire altri spazi di mercato.

Federico Giangrandi


  1. La Società della Mente-Marvin Minsky-Adelphi Ed. ↩︎

  2. Antifragile-Nassim Nicholas Taleb-Il Saggiatore ↩︎

  3. The basic thesis … is that organizations which design systems … are constrained to produce designs which are copies of the communication structures of these organizations. da How Do Committees Invent? - Melvin Conway ↩︎

  4. Il Filtro Creativo - Giorgio Gargani - Laterza Ed. ↩︎

  5. Galassia Gutenberg:nascita dell’uomo tipografico - Marshall McLuhan ↩︎

  6. Paesaggio Sonoro: pensieri sul libero ascolto - Articolo di Eugenia Laghezza - DADA. Rivista di Antropologia post-globale, 1 giugno 2013 ↩︎